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Chi sei veramente? Verso cosa e come muovi i tuoi obiettivi, le aspettative. Le tue scelte certamente in apparenza consapevoli e da dove derivano... ?
Cosa siamo senza attingere a piene mani da quel che siamo stati?
Una verità tra le più vere e un riscontro attendibile con noi stessi e la nostra Civiltà è senza alcun dubbio la nostra Storia. Quella della singolarità ma soprattutto quella d'ogni Urbe, villaggio o metropoli che sia. Il convivio sociale, l'equilibrio tra le etnie ma anche scelte epocali e quotidiane in ogni micro e macro ambito del percorso umano; non possono che passare per una maternità. La Storia. Quella di Apice come certamente tante è ricchissima e variegata carica d'orgoglio e sciagure, di intrighi importanti e sfarfallate da inciucio. Di sudore, sacrificio, sangue e infinite gioie.

Difficile concepire una pagina semplice ed esaustiva su di un mondo così ampio e vario...
Cercheremo di adoperarci affinché non sia esso un limite ma sprone per arricchire con piccoli tasselli ogni giorno questo spazio così da poterlo rendere sempre più interessante, variegato e compiuto.

Affamato dei vostri contributi non esitate ad inviare materiale renato.r.iannone@gmail.com

FATTIUOMINIIMMAGINICRONACA&RACCONTO

DA: ANSA ViaggiArt -  La Città di APICE
leggi l'articolo originale: https://www.ansa.it/viaggiart/it/city-268-apice.html


 

Apice è un comune italiano di 6.245 abitanti della provincia di Benevento in Campania. Geografia fisica Sorge a circa 11 km dal capoluogo di provincia sulla destra del Calore, la dove passavano le vie consolari Numicia e Appia. Ha una superficie agricola utilizzata di 2900,08 ettari. Clima Nel periodo di riferimento 1961-1990, in media le temperature di gennaio sono comprese tra una minima di 3,8 °C e una massima di 10,6 °C, mentre quelle di luglio tra i 17,8 e i 30,5 °C. Storia Dai Romani alla fine del Medioevo La prima menzione del comune risale tuttavia all'VIII secolo, in un diploma di concessione del Principe longobardo Grimoaldo a Montecassino "sub Apice". Nell'XI secolo lo si trova sotto i Conti di Ariano. Nel 1113 fu devastato dal conestabile beneventano Landolfo della Greca, per una rappresaglia contro i Normanni che molestavano i beneventani. Nel 1122, fu assediato da Guglielmo il Guiscardo, nel 1138 era tenuto da Rainulfo di Alife, che vi fu assediato da Ruggero il Normanno, il quale se ne impadronì, e lo diede al conte di Buonalbergo. Nel 1186 fu costituito in contea indipendente è dato ai Balbano. Successivamente passò ai Maletta ai San Giorgio, ai Shabran, ai Guevara, ai Carafa, ai Gallucci e agli Stuart di Toceo. Sotto gli Angioini fu teatro di sanguinosi conflitti, e nel 1417 cadde per poco in mano ad Attendolo Sforza. Nel 1494, fu occupato dai francesi di Carlo VIII ma appena partito questi, tornò contea. Nel 1647 anche Apice tentò di scuotere il giogo feudale e spagnolo. Dalla fine del Medioevo ai giorni nostri Nel XIX secolo, lo storico beneventano Alfonso Meomartini ipotizzò che il toponimo derivasse da un Marco Apicio, romano, incaricato dal senato di ripartire, tra i veterani legionari, alcune terre del Sannio. La congettura trova riscontro nel nome di una contrada apicese detta Marcopio. Nel catasto onciario del 1753 sono in evidenza i luoghi della vecchia Apice, ossia la Terra di Apicij, il feudo di Lo Covante, Castiglione, San Lorenzo Vecchio, San Francesco, Corigliano e Monterone, quando il paese era abitato da 337 nuclei familiari (fuochi). Gli Apicesi si distinsero anche in Terra santa sotto Guglielmo il Buono, che li premiò con privilegi. Il 21 agosto 1962 il centro fu duramente colpito da due scosse di terremoto del VI e VII grado della scala Mercalli, che colpirono il Sannio e l'Irpinia facendo 17 morti. Il Ministero dei Lavori Pubblici ordinò l'evacuazione dei 6500 abitanti, che si trasferirono in gran parte nel nuovo abitato sorto sulla collina prospiciente il vecchio paese. Monumenti e luoghi di interesse Le sue origini sono molto antiche, alcuni storici la fanno risalire addirittura a popolazioni antichi come gli "Opici"; si dice che la cattiva pronuncia di tale parola sarebbe venuta al termine "Apice". Secondo altri, la parola Apice deriva da Marco Apicio, un console romano mandato dal Senato nel Sannio a dividere le terre conquistate per distribuirle ai Veterani ed ai Coloni. La presenza romana sul territorio è dimostrata da due ponti: uno di età Imperiale, l'altro, di Appiano, meglio conservato, di epoca Repubblicana. Scavi archeologici hanno portato alla luce resti di strutture abitative, di reti fognarie, attrezzi e monete. Tutto ciò fa pensare che in quel luogo, nel periodo romano, vi fosse una locanda per il ristoro e per il riposo dei viaggiatori. Non molto lontano da Appiano, verso Bonito, alla frazione Starza sono stati trovati i resti di un abitato romano e reperti quali monete, resti di vasellame, ecc. Si dice che la Starza sia stata una cittadina bruciata e cosparsa di sale per punizione e che il nome deriva dalla dicitura "Stat arsa"; questo significa che è bruciata e non si può costruire in questo luogo. Molte sono le testimonianze medievali, in particolare modo castelli, chiese e conventi di cui esistono per alcuni la memoria, altri si trovano in ottimo stato. Il Castello dell'Ettore o Castello Medievale Di epoca romana, si trova nel centro storico, è in ottime condizioni. Oggi le sue stanze sono sedi del museo civico della civiltà contadina, di esposizione di reperti archeologici, di mostre e di altre attività culturali, nonché la Biblioteca comunale. Il castello ha una pianta a forma decagonale e difeso da possenti mura, l'edificio nel passato era dotato di quattro torri; oggi ce ne sono solo due al di sotto delle quali c'erano i sotterranei, adibiti ai prigionieri e, secondo alcuni, gallerie che permettevano di uscire dal paese in caso di assedio. Dentro le mura c'è un grande cortile con una fontanella che serviva l'acqua agli abitanti e per abbeverare gli animali. Intorno al cortile c'erano le stanze dei servitori, salita una grande scalinata, al primo piano, c'erano i saloni di rappresentanza, mentre le camere padronali erano al piano superiore e nelle torri. Adibito per un certo periodo a civili abitazioni ora è in fase di ristrutturazione e molte sale hanno ripreso le antiche dimensioni. Ora è riconosciuto come monumento nazionale. Chiesa di Santa Maria assunta in Cielo Di origine longobarda, la chiesa ha forma di croce latina ed è divisa in tre navate da colonne di stile ionico. Gli altari rimasti,nel 1400 erano 18, sono di marmo pregiato, quello maggiore ha due angeli del 1700 scolpiti ai lati. In fondo alla chiesa c'è un magnifico coro ligneo di pregiata fattura. I dipinti alle pareti sono del XVI sec. e rappresentano la risurrezione di Cristo e Lui che sale alla destra del Padre. La facciata conserva ancora due nicchie all'interno della quali sono raffigurati una suora e un abate,quest'ultimo è vestito con abiti pontificati e ha in mano un bastone pastorale. Il campanile originario della chiesa fu completamente distrutto dal terremoto del 1930 e quello che si vede è di origine recente. I Conventi e le Abbazie nei secoli scorsi nei dintorni di Apice esistevano ben cinque conventi: San Francesco (1222); San'Antonio (1500); San Giovanni (1600); San Guglielmo (XII secolo); L'abbazia di San Lorenzo al bosco (VII secolo). Oggi di alcuni rimangono le rovine, di altri come quello di San Francesco, conservano in parte la struttura originaria. Il convento di Sant'Antonio domina incontrastato il borgo ed il nuovo centro. 1) San Francesco: fu fatto costruire su una collina poco distante dal centro storico dallo stesso santo nel 1222. Il convento era per i frati luogo di preghiera e di lavoro; esso ha la pianta quadrata e all'interno conserva le celle dei monaci. Unita al convento c'è la chiesa, la cui facciata è ben conservata, di stile gotico. Durante la costruzione del convento i frati non riuscendo a spostare una roccia enorme e molto pesante si rivolsero al santo, che con solo tre dita la sollevò facendo sgorgare in quel luogo acqua limpida e fresca. La sorgente esiste ancora oggi e viene chiamata "Fonte Miracolosa"; si trova sotto le mura del convento, di fronte al luogo dove c'era la cella di San Francesco e vi si accede passando per una grotta. a sinistra della fonte ancora oggi c'è la pietra sulla quale si possono notare, benché corrose dal tempo, le impronte delle dita del santo. Ponte Appiano situato a circa 3 km da Apice, posto poco distante dal castello di FedericoII, il ponte Appiano(ponte Rotto per i paesani) con i suoi resti ancora oggi sfida il tempo e gli uomini. Esso nell'antichità permetteva alla via Appia di superare il fiume Calore per continuare verso il porto di Brindisi. In origine era formato da 9 arcate, lungo 150m ed alto 9m; oggi è in buone condizioni solo la parte centrale mentre i resti dei pilastri si trovano poco distanti. Società Evoluzione demografica L'evoluzione demografica di Apice dal 1861 al 2011 è la seguente: Abitanti censiti Etnie e minoranze straniere Al 31 dicembre 2010 risiedevano ad Apice 164 persone con cittadinanza non italiana. Le comunità più numerose erano: Romania 51 Ucraina 27 Bangladesh 25 Cultura Persone legate ad Apice Stanislao Bozzi (Apice, 1951), allenatore ed ex giocatore di calcio. John Frusciante (New York, 1970), a lungo chitarrista dei Red Hot Chili Peppers, pronipote di un apicese emigrato negli Stati Uniti. Vittorino Villani (Apice, 1915), artigiano e politico molto importante nel 20° secolo. Eventi Festa di sant'Antonio di Padova (13 giugno), presso l'omonimo santuario in contrada Santa Lucia. Festa di san Giovanni Battista (24 giugno), nell'omonima parrocchia. Rievocazione dell'Antica Trebbiatura (file luglio-inizio agosto) in contrada San Lorenzo. Festa di san Donato d'Arezzo nella contrada omonima (7 agosto). Festa di san Lorenzo (10 agosto). Festa di san Rocco (16 agosto). Festa di Santa Lucia da Siracusa (13 dicembre). Trasporti Strade statali e autostrade Il Comune sorge a breve distanza da: Strada statale 87 Sannitica, che collega a Benevento, a Arzano e quindi a Napoli; Strada statale 88 dei Due Principati, che collega a Benevento, a Morcone e quindi a Campobasso; Strada statale 90 bis delle Puglie, che collega a Benevento, a Savignano Irpino e quindi a Foggia; Strada statale 372 Telesina, che collega a Benevento, a Caianello e, grazie all' Autostrada A1 Milano-Napoli, a Napoli, a Roma e tutta l'Italia Settentrionale; Autostrada A16 Napoli-Canosa, che collega a Napoli e a Bari; Ferrovie Apice dispone di una stazione ferroviaria, Apice Centrale, nel rione di Tignano, lungo la linea Napoli-Foggia e della stazione Apice San Donato, nel rione di San Donato. Per le ferrovie passano circa 30 treni al giorno verso: Napoli, Salerno, Foggia, Bari, Roma, Campobasso, Pescara e Reggio Calabria. Sperimentazione da parte delle Ferrovie dello Stato negli anni venti - trenta Le Ferrovie dello Stato decisero di fare esperimenti di trazione a corrente continua a 3000 V sulla Benevento - Foggia ottenendo brillanti risultati (soprattutto grazie ai raddrizzatori a vapori di mercurio installati ad Apice). Tra le prime locomotive elettriche a corrente continua in Italia vi furono le E.626 costruite per effettuare i primi servizi sulla Benevento - Foggia nel 1927. Il punto di forza di questo tipo di trazione era la possibilità di impiegare più motori di trazione, a differenza dei classici due del trifase; ciò, essendo ogni singolo asse mosso dal proprio motore, permetteva di eliminare i complessi biellismi motori di accoppiamento. Le E.626 avevano una velocità massima di 90 km/h e avevano una cassa rigida in livrea castano-isabella. Amministrazione Il Comune fa parte della Comunità montana del Fortore. Note ^ ISTAT data warehouse ^ Tabella dei gradi/giorno dei Comuni italiani raggruppati per Regione e Provincia (PDF) in Legge 26 agosto 1993, n. 412, allegato A, Ente per le Nuove Tecnologie, l'Energia e l'Ambiente, 1 marzo 2011, p. 151. URL consultato il 25 aprile 2012. ^ Dato riferito all'anno 2000 ^ Fonte Camera di Commercio, Benevento, dati e cifre, maggio 2007 ^ Ne "I Comuni della provincia di Benevento. Storia, cronaca, illustrazione", editore Giuseppe De Martini, 1907, pag. 91. ^ Statistiche I.Stat ISTAT URL consultato in data 28-12-2012. ^ Dati ISTAT al 31 dicembre 2010. Bibliografia Arturo Bascetta, Apice nel Regno di Napoli, 2000. Augusto De Bellis, La Storia di una importante Contea, 1977. Antonio Iamalio, La Regina del Sannio, Ed. Ardia, 1938. Margherita Merone, Apice, un futuro dal cuore antico, 2008. Voci correlate Benevento Provincia di Benevento Sannio Strada statale 90 delle Puglie

Apice e la sua Storia in sintesi
Un contributo fondamentale arriva dal sito Ufficiale della nostra PRO LOCO ed in particolare dalla sua preziosa Presidente Carmela D'Antonio che ringrazio.


 

Apice è un Comune della provincia di Benevento, situato ad un’altitudine di 245 m.s.l.m, circondato da alti e verdeggianti colli che sfiorano i 600 m.s.l.m. Il territorio rigoglioso e coltivato è lambito da tre corsi d’acqua, il Calore, il Miscano e l’Ufita. La persistenza di un clima mite e di una morfologia collinare favorevole all’agricoltura garantiscono eccellenti colture della vite, dell’ulivo e degli ortaggi.

L’origine etimologica del nome Apice è assai discussa, secondo alcuni deriverebbe dal termine latino apex con significato topografico, in riferimento alla collocazione geografica dell’abitato sulla sommità di una collina, secondo altri avrebbe tratto il nome da Marco Apicio. La tradizione letteraria raccoglie sotto questo nome alcuni personaggi che si sono occupati di gastronomia in epoche diverse; al contrario la tradizione classica non menziona la figura di Apicio quale console o funzionario del Senatus Romanus incaricato di riscuotere le tasse nell’entroterra campano (publicanus). Il primo riferimento ad Apicius di cui si abbia notizia riguarda un accanito oppositore della Lex Fannia che limitava gli sperperi e il superfluo durante i banchetti, compreso l’eccessivo numero di convitati. Il secondo fu il ricco patrizio Marco Gavio Apicio, vissuto nel I secolo d.C. e ritenuto l’autore di molte ricette poi successivamente raccolte nel De re coquinaria, il primo trattato di cucina. Una ipotesi più suggestiva vede l’origine del nome Apice dall’antico popolo degli Iapigi, popolazione indoeuropea stanziatasi tra il II e il I millennio a.C nell’odierna Puglia; il riferimento ad Apice viene rintracciato nel dialetto locale, che indicava con il termine “Iapici” appunto il centro abitato.

L’ubicazione favorevole del territorio Apicese nel mondo antico è testimoniata anche dalla presenza, in località Morroni, delle vestigia di un Ponte di epoca romana, denominato...

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Del comune di Apice Vecchio come primo Storico riferimento 
fanno parte le seguenti frazioni o località o Contrade
Alvino (2,07 km)
Ambrosino (3,68 km)
Apice Nuovo (2,02 km)
Apice Vecchio (-- km)
Belmonte (2,33 km)
Bordi (2,56 km)
Bosco San Lorenzo (8,90 km)
Calicchio (1,10 km)
Calvano (3,87 km)
Case sparse (-- km)
Casuccio (2,78 km)
Circolo Santa Lucia (2,18 km)
Cupazzo (6,50 km)
Fierro (3,08 km)
Frattolillo (1,67 km)
Fruci (5,20 km)
Genca (5,95 km)
Iebba (4,47 km)
Località Produttiva San Donato (-- km)
Macchione (5,64 km)
Monte (11,07 km)
Morroni (4,01 km)
Piano Tignano (-- km)
Piano Zona Corsano (4,19 km)
San Donato (2,24 km)
San Francesco (1,08 km)
San Lorenzo (5,79 km)
San Martino (3,17 km)
Sant'Antonio (1,31 km)
Sant'Isidoro (4,04 km)
Santa Lucia (0,63 km)
Selva (1,94 km)
Starza (4,52 km)
Tignano (4,34 km)
Tufo (2,62 km)
Vauto (4,08 km)
Vernacchio (5,13 km)
Zuccarelli (5,17 km).

Il numero in parentesi che segue ciascuna frazione o località indica la distanza in chilometri tra la stessa e il comune di Apice.
Fonte; ITALIA - indettaglio.it - (portale geografico Italiano) © reti e sistemi S.r.l. 

SULLE ORME DELL'APPIA.jpeg
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LETTURE
SULLE ORME DELL’APPIA ANTICA
Questo luogo che oggi risulta essere denominato con l’acronimo “le panchine” luogo d’incontro dei giovani apicesi e non, ha avuto un passato ricco di storia.  Tale particolarità la rende interessante sotto l’aspetto storico-culturale e paesaggistico. 
Da questa panoramica è possibile osservare nella sua interezza il complesso dei monti Taburno e Camposauro che danno luogo alla famosa “Dormiente del Sannio”, nome derivante dall’immagine prospettica che ci fa immaginare una donna supina A PROTEZIONE DELLE ANTICHE TERRE SANNITE dove appunto si svolsero le famose battaglie tra Sanniti e Romani come le famose forche caudine.
Questa catena montuosa è visibile lungo la direzione EST-OVEST rispetto al centro urbano di Apice . Inoltre sempre da questo luogo è possibile ammirare la catena montuosa del Matese e si riesce a scorgere anche le piste della nota stazione sciistica di Campitelo Matese.
In particolare la Dormiente è sempre stata presa come riferimento geografico dai viandanti in quanto veniva a trovarsi lungo la direttrice fondamentale della prima strada, in termine di importanza, costruita dai Romani che collegava l’oriente con l’occidente denominata   Via Appia e definita la “Regina Viarum”, che collegava Roma con Brindisi iniziata costruire nel 312 a.c. passando per Benevento e per questa località. Da riferimenti cartografici catastali la  strada di separazione tra il comune di Apice e quello di san Giorgio del Sannio  dove appunto risiede questo sito  porta il nome di Via Appia. Pertanto questo luogo risulta particolarmente ambito per chi vuole immergersi nei percorsi storici che hanno contraddistinto il nostro territorio, a partire dalle famose guerre puniche e fino ai nostri giorni. 
Questo luogo fa parte della nuova città di Apice ricostruita a seguito dei terremoti del 1962 -1980 , e  pertanto risulta da trait d’union tra antico e moderno, per  una realtà sempre protratta alla crescita e lo sviluppo ma con il pensiero al passato. Per ricercare questo luogo basta recarsi in Via Ettore Perriello ed immergersi con il pensiero in un pezzo di Storia infinito ed affascinante che và dalla notte dei tempi ad oggi.
LETTURE
LA CONTRADA DI TIGNANO
Tignano è una frazione di Apice. Costituì comune a sé stante dal 1810 al 1867. La località è situata presso la confluenza del fiume Miscano nel bacino dell'Ufita.
Nel suo territorio, attraversato dalla ferrovia Napoli-Foggia, è ubicata la stazione di Corsano, in disuso dal giugno 2008.
Tignano esisteva come feudo di Apice già nell’epoca normanna ed era tributario della chiesa di S. Sofia di Benevento. Nel 1119, Roberto di Montefusco occupò Tignano volendo darla ad un suo figlio naturale, il Conte di Apice Giordano non fu d’accordo, cosi Roberto accettò la sottomissione e divenne tributario di Apice.
A quell’epoca, sia la chiesa di S. Maria in Tignano che tutta la borgata, appartenevano alla diocesi di Ariano. La chiesa e la borgata furono distrutte nel 1406 durante la battaglia tra i francesi di Ferdinando II e gli spagnoli di Carlo VIII. Nel 1578 il Sinodo diocesano diceva che in Tignano, pur non essendoci più la borgata (distrutta), esisteva una Chiesa con titolo di Badia Rurale. Nel 1520 la Badia era di patronato dei Baroni che davano all’incaricato il titolo di Abate.
Il 2 Luglio del 1627, il conte Leonardo Tocco Cantelmo comprò detto feudo, con atto del notaio Anatruda di Napoli. Nel 1656, Antonio Tocco Cantelmo, figlio di Leonardo, nominò Abate di Tignano il sacerdote don Carlo Ferraro di Barletta che, in seguito, divenne vescovo di Bitonto.
Nel 1628 i Tocco Cantelmo nominarono Abate il sacerdote don Giovanni Sparandeo e successivamente, nel 1774 il sacerdote don Filippo Jennaco di Montefalcione.
Oggi, Tignano è solo una contrada di Apice e di quella chiesa non vi sono più neppure i ruderi. Attualmente ritroviamo un’altra chiesetta dove nell’ultima domenica del mese di maggio viene festeggiata la Madonna Immacolata.


Augusto De Bellis, APICE Storia di una importante contea
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Antico Casale rurale in Contrada San Donato

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CHIESA E CONTRADA DI SAN DONATO
La nuova chiesa di S. Donato vista nella sua bellezza è situata a pochi metri da quella omonima più antica e famosa per la sua storia. Dedicata al culto di S.Donato vescovo di Arezzo santo martire, divenuto famoso per la forte fede tale da venire martirizzato tramite decapitazione nel 362. Il suo culto si espanse rapidamente in tutta Europa le sue gesti vennero ricordate con enfasi ed orgoglio cristiano. Padre Domenico Tirone O.F.M. nel suo lavoro, ed unico dedicato a questa chiesa, ne traccia la storia in maniera molto dettagliata, oltre, a far riferimento al feudo del Cubante “Leocubante” e alla storia della contrada, compresi Ponterotto, via Appia, e S.Giovanni a Morcopio.
Il Tirone, narra, che la storia di questa chiesa, potrebbe avere radici diverse, durante il periodo longobardo nella chiesa di S. Sofia di Benevento, si venerava S. Donato uno dei dodici fratelli, poco conosciuto in città, le cui reliquie furono portate nel 760 dal Duca Arechi II, martirizzato dall’imperatore romano Valeriano insieme ad altri undici fratelli missionari (non di parentela) che vennero ricordati come “martirio dei dodici fratelli”.
Il Duca Arechi II portando in S.Sofia di Benevento le reliquie raccolte, dichiarò S.Donato martire, protettore del principato e ne diffuse il culto.
S. Donato cresce nel cuore della popolazione e crescono, anche, le numerose donazioni dei cittadini, un feudo molto importante divenne in poco tempo quello del Cubante, e dove nacque di lì a poco una chiesa consacrata, per l’appunto, S.Donato martire chiamato più comunemente S. Donato di Benevento.
E’ difficile capire come il culto a S.Donato di Benevento si sia perso, venendo sostituito da S. Donato d’Arezzo, lo storico Pratella ne attribuisce al fatto che nel 1687 furono rinvenute le ossa dell’aretino sotto l’altare di S. Antonio di Padova nella Basilica di S.Bartolomeo di Benevento.
Nel rifare l’intonaco sono rimasti pezzi di muro antico, la volta è di legno ed il pavimento di pietra cinerina, ribadisce Fra Domenico Tirone che si trattasse di S.Donato uno dei XII Fratelli Martiri, traslati nel 760 dalla Puglia nella chiesa di S.Sofia essendo principe Arechi II .
L’elemento più antico rimane l’altare dietro il quale in una nicchia c’è la statua lignea di S. Donato circa 110cm con intesta la mitra vescovile con il camice bianco i parametri in rosso e contornato di azzurro, inginocchiata alla base c’è una donna che presenta la sua bambina.
Ai piedi della statua nel reliquiario rimane, una tecla settecentesca e reca la scritta “S.Donato ep.”, la cappella dedicata a S.Donato la troviamo per la prima volta nel 1022 nei beni del monastero di S.Sofia dell’imperatore Enrico II” la chiesa di S.Donato a Leone Cubante con tutte le pertinenze” ….ecclesiam S. Donati in leonem Cubantem cum omnibus suis pertinentiis etc etc.
Altro elemento del prof. Zazo che attingendo dalle antiche pergamene espresse il suo giudizio al riguardo il feudo del Cubante e disse: Con il feudo Leocubante, il più bello ed il più grande posseduto dalla Badia S.Sofia di Benevento.
Il feudo prende nome da una scultura che rappresenta un leone accovacciato. Nel 1284 Amerigo De Sus, violando i confini dello stato papale cioè, di Benevento, arrecava alla chiesa gravi danni.
Ancora viene menzionata nel 1294 quando Carlo II dovette intervenire contro Aiutore di Montaperto per le sue incursioni nel feudo. Nel 1321 l’Abate di Apice si rifiutava di pagare le decime del Leocubante alla Badia S.Sofia.
Nel 1688 il feudo contava undici masserie due taverne, quella detta della Scafa, e quella del Pasticcio, tutte e due vicine al ponte Appiano.
Ogni anno dal 3 al 12 Agosto nel piazzale della chiesa di S. Donato al Cubante, si svolgeva una grande fiera, molto frequentata da persone che venivano dal Sannio e dall’Alta Irpinia a venerare il santo, e per comprare e vendere merce di ogni genere, anche animali bovini, caprini ed equini, ed era caratterizzata per la vendita di botti e scale di legno molti utili all’agricoltura.
C’è da ricordare che durante i suoi percorsi Padre Pio per recarsi al convento di Montefusco passava abitualmente qui fermandosi a pregare in questi posti a lui molto cari.
Attualmente nella contrada il santo viene festeggiato il 7 agosto di ogni anno.
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SAN LORENZO AL BOSCO
Vuoco di Benevento fece dono a S. Benedetto da Norcia di un casale di Apice detto S. Felice alla Rocchetta. Nel 790, in quel luogo venne edificata una badia che prese il nome di S. Lorenzo al Bosco per essere dedicata all’illustre martire della cristianità. Secondo lo storico Racioppi, la badia fu diretta anche da S. Giovanni Spolitano che alla sua morte lasciò la sua mitra di abate all’abbazia di Apice. Lo stesso storico Racioppi racconta di aver visto conservata quella mitra nel reliquiario della chiesa con annotazione autentica di vari vescovi di Benevento. Ai tempi dell’arcivescovo Orsini, la badia con la sua rendita venne aggregata alla chiesa di Pietradefusi. Nel corso dei secoli dell’antica badia di S. Lorenzo è rimasta solo la chiesina, fra l’altro, ricostruita varie volte a causa dei ripetuti terremoti. Antica e tradizionale è rimasta la festa in onore del Santo del 10 agosto voluta e sostenuta dai fedeli della zona. Una lapide in marmo all’interno della chiesa ne ricorda la consacrazione a Dio, alla Vergine e S. Lorenzo, da parte del cardinale arcivescovo Filippo Coscia avvenuta il 29 giugno del 1726.
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Apice: vecchio o nuovo?

Di Carmela D'Antonio (Pres. Pro Loco Apice)

 

Il vecchio lo trovi arroccato sulla punta di una valle, sembra un dipinto dimenticato dal tempo, dove la natura incornicia le case abbandonate durante il terremoto e il cielo ne illumina i colori e le finestre aperte su un tempo sospeso.

Il paese nuovo lo osserva dall’alto, memore dei bei tempi andati che il cemento delle nuove case non è riuscito a far elaborare del tutto. In questa dicotomia tra passato e presente tre colli si stanziano imperiosi ad impreziosire il panorama e ad arricchire le tavole con ortaggi genuini e sostanziosi.

 

Passeggiando nel Borgo vecchio ci accoglie il silenzio mistico delle case abbandonate di fretta e furia, molte delle quali hanno ancora dentro i mobili, le tende e le pentole appese ai muri. Sembra che il tempo si sia congelato nelle tragiche scosse di terremoto, quello del 1980 in maniera definitiva ma prima ancora quello del 1962.

Oggi molti definiscono Apice Vecchia “città fantasma”. Di fantasmagorico c’è la realtà che sembra combattere contro l’oblio.

Non tutti i vicoli sono accessibili al pubblico, ma quelli aperti aspettano solo di essere visitati nel rispetto delle vite che un giorno la riempivano di voci: l’Abazia, il cinema, il macellaio, i dipinti sotto i soffitti, riaccendono l’immaginario agli animi sensibili. Ultimamente è divenuta meta di curiosi, fotografi, registi cinematografici, come Pippo Mezzapesa che ha girato il film “il Bene Mio” presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 2018.

 

Il paese vecchio si è sviluppato in un punto comunicativo strategico accanto alla via Appia, la Numanica ed Egnazia, al centro dei fiumi Ufita, Miscano e Calore, un tempo navigabili. Il ponte Appiano, detto ponte Rotto, è simbolo importanza comunicativa che Apice conservava come strada di passaggio verso la Puglia.

 

Oggi il borgo è stato in parte ripristinato, i luoghi intorno al castello sono ritornati a vivere nella quotidianità delle strutture ricettive: trattorie, B&B, pasticcerie e friggitorie si prendono cura dei visitatori. Mentre il castello è divenuto location di matrimoni, incontri culturali e mostre.

Il Castello d’Ettore, maestoso ed imponente nella sua conformazione a conchiglia, con le sue torri e porte d’ingresso, alcune delle quali ormai inglobate nel borgo. Ricco di sotterranei adibiti a segrete prigioni e cantine, che arrivano fino al fiume e che durante le guerre fungevano da rifugio per la popolazione e per i militari. L’edificio ha un’architettura tipicamente medievale, normanno a detta degli esperti, anche se nel corso degli anni ha avuto vari ritocchi e ristrutturazioni. La corte interna oggi è animata da giardini pensili, e da una suggestiva scalinata esterna che permette l’accesso alle terrazze del castello, luoghi in cui è possibile ammirare dei panorami bellissimi in cui lo sguardo, nei giorni sereni, accarezza i paesi irpini e ricalca il profilo della “Dormiente del Sannio, ossia quell’insieme di monti che sembrano disegnare il profilo di una donna coricata. E proprio difronte ad una di queste terrazze si staglia la collina di S. Lucia in cui sorgono varie oasi religiose. Prima fra tutte il convento di San Antonio da Padova, custode di una tela miracolosa che raffigura il Santo padovano che di passaggio nei dintorni, durante una febbre, fu accolto da una nobile famiglia locale. Ogni anno la tradizione della tredicina, a partire dal primo di giugno, vede le strade della collina riempirsi di gente che a piedi si incammina verso la chiesa per portare omaggio al Santo. Si narra che un altro Santo famoso abbia soggiornato su quella collina: San Francesco di Assisi fermatosi durante un suo viaggio verso il Gargano a portare sollievo agli abitanti vittime di una forte siccità. Memore di questa visita c’è un convento a lui dedicato, purtroppo in questo momento in rovina, ed una roccia in cui sono impresse le dita del Santo e dai cui ancora oggi sorge acqua in memoria dell’antico prodigio che liberò il paese da quella aridità che lo aveva impoverito. Da quel periodo i terreni apicesi si raccontano essere stati rigogliosi, abbondanti nei loro famosi ortaggi, oliveti e vigneti, che riempiono le tavole di buona parte del Sannio. Molto degli agricoltori della zona si dedicano al biologico offrendo prodotti di qualità dalle caratteriste organolettiche eccellenti.

 

Il paese nuovo si struttura tutto nel presente e Viale della Storia si palesa all’altezza dei tempi. Gli alberi dei questa lunga strada sono stati letteralmente “bombardati da filati” dalla traduzione del termine Yarn Bombing, una forma d’arte di strada costituita dall’ esposizione di tessuti lavorati a maglia o ad uncinetto. Un gruppo di signore che fanno capo alla Pro Loco da alcuni anni si incontrano per filare insieme e a colpi di dritto e rovescio strutturano relazioni, amicizie e soprattutto lavori colorati con cui abbelliscono gli alberi. Una forma d’arte che nasce dal basso, mette insieme varie generazioni, recupera l’arte antica offrendo piccoli atti di bellezza al paese.

LETTURE

Per “il borghista” - Blog dedicato ai piccoli paradisi d'Italia

Di Carmela D'Antonio (Pres. Pro Loco di Apice)

 

Apice è Borgo che nasce tra tre fiumi: Miscano, Ufita e Calore e si staglia su due strade storiche: la Numincia e la Appia che l’hanno reso un importante centro di sviluppo economico e sociale a partire dall’Impero Romano. Nasce alle falde dell’Appennino Campano e si struttura in due nuclei abitativi: il Borgo di Apice Vecchia abbandonato dopo il terremoto dell’ ottanta e quello nuovo edificato sulla collina difronte.

Apice merita di essere visitato per il suo borgo Vecchio, oggi ribattezzato come “Borgo fantasma” dalla trasmissione televisiva di RAI 5. È un complesso di stradine e piazze che si struttura intorno al Castello dell’Ettore di origine Normanna. Un luogo dal tempo sospeso ed incantato tra le case abbandonate con ancora le tende alle finestre. Il borgo negli ultimi anni è stato rivalutato e diverse strutture ricettive ( ristoranti, pub, B&B) rendono calorosa l’accoglienza di ospiti e visitatori. Diverse iniziative ricreative animano i vari periodi dell’anno: gli ormai famosi Mercatini di Natale, Presepe vivente, convegni , concerti e serate a tema.

Il ponte Appiano segna un altro luogo speciale di questo paesaggio. I suoi tre piloni rimanenti resistono dall’età di Traiana, e sul loro andamento a schiena d’asino hanno visto passare i più grandi traffici commerciali e cultuali della via Appia che dalla Oriente arrivavano a Roma. Ancora oggi sui resti del ponte è possibile ammirare cornici decorate in laterizio e mensole in calcare.

Il nuovo abitato armonizza la cementificazione degli anni ottanta con vari parchi verdi e luoghi antropizzati nell’aspetto estetico come ad esempio il viale della Storia i cui alberi sono stati contornati da mosaici ad uncinetto secondo lo stile della green art dello Yarnbombing. Un gruppo di donne ha rivalutato l’arte antica del ricamo, dell’uncinetto e dei ferri per riempire di colori e forme il viale.

 

Curiosità

La via Appia ha offerto al paese grandi incontri. La memoria popolare racconta che San Francesco ha soggiornato in questo paese ed alla sua mano è fatta risalire l’impronta stampata in una roccia. Si racconta che il paese fosse in un periodo di grande siccità nel momento in cui il Santo arrivò e toccando una roccia cominciò a sgorgare acqua che da quel momento non ha smesso di rendere fertile i terreni e di scorrere in quel determinato punto.

Gli ortaggi sono il fiore all’occhiello del nostro territorio insieme alla vocazione biologica della maggioranza delle aziende agricole. E’ possibile trovare i prodotti degli orti nel mercato contadino della domenica mattina.

 

Citazioni famose

La Pace di Apice del 1080 tra Roberto il Giuscardo e Riccardo D’Aversa, con la mediazione dell’abate di Montecassino.

 

Apparizione cinematografiche

 

Il regista Pippo Mezzapesa che ha girato il film “il Bene Mio” con Sergio Rubino presentato alla Mostra del Cinema di Venezia 2018 e distribuito da Altre Storie.

 

Cenni storici

 

L’ubicazione geografica favorevole ha reso Apice un punto di interesse non solo nel periodo Romano e ma soprattutto in quello medioevale. La presenza romana nel territorio è attestata da numerosi rinvenimenti archeologici fra cui lapidi e cippi funerari, monete, cammei ed utensili di uso domestico risalienti all’età imperiale. La presenza della via Appia l’ha resa un crocevia di scambi commerciali e culturali che anche durante il medioevo ne hanno caratterizzato l’identità.

Il medioevo la vede protagonista dell’antagonismo di conti, feudatari, principati in quanto punto nevralgico del commercio del grano e della lana fra la Puglia e Napoli. Longobardi, Angioini, Aragonesi, Normanni lasciano le loro tracce sul territorio e soprattutto nel castello che domina la parte più alta della collina e presiedeva le vie di terra e di fiume, un tempo navigabili.

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UOMINI
DAVIDE GIANGREGORIO (cantante lirico)

Dopo il diploma in canto e pianoforte, gli studi di organo e musica da camera al Conservatorio “N. Sala” di Benevento, ha approfondito stile e prassi del repertorio barocco con il contralto Sonia Prina. Nel 2012 ha debuttato come Don Basilio ne IL BARBIERE DI SIVIGLIA per il 51° Festival di Stresa. Nel 2013 è stato vincitore del 67° Concorso del Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto “A. Belli”, dove ha interpretato Guglielmo in COSÌ FAN TUTTE, ed ha frequentato l’Accademia Rossiniana diretta dal M° A. Zedda, esibendosi al ROF ne IL VIAGGIO A REIMS. Nel 2018 ha vinto il Concorso Toti dal Monte di Treviso e nel 2019 il Concorso As.Li.Co., nel 2021 è vincitore del Primo Premio assoluto e del Premio come miglior basso al Concorso Giulio Neri. Nel 2022 ha vinto il premio Mozart al 59° “Viñas Competition” di Barcellona.
Tra gli impegni recenti e futuri: Alidoro ne LA CENERENTOLA al Petruzzelli di Bari al Teatro Lirico di Cagliari ed al Teatro Maria Callas di Atene, Alfonso d’Este in LUCREZIA BORGIA al Teatro Comunale di Bologna ed allo Stadttheater di Essen, Leporello nel DON GIOVANNI al Teatro Comunale di Sassari, Dulcamara in ELISIR D’AMORE al Teatro dell’Opera di Roma, Figaro ne LE NOZZE DI FIGARO e Le Gouverneur ne LE COMTE ORY  al Teatro Comunale di Bologna, il ritorno al Rossini Opera Festival come Licinio in AURELIANO IN PALMIRA, il debutto di Raimondo nella LUCIA DI LAMMERMOOR alla Israeli Opera di Tel Aviv..

Approfondisci direttamente dal sito ufficiale: www.davidegiangregorio.com

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ORLANDO CANTELMO (Insigne medico scienziato)

Originario di Apice, Orlando Cantelmo vi nacque l’11 dicembre 1887. Compiuti gli studi superiori a Benevento si iscrisse alla facoltà di Medicina e Chirurgia di Napoli, laureandosi nel 1913. L’anno successivo entrò nella I° Clinica Chirurgica della R. Università diretta da Giovanni Pascale come Assistente volontario e, sempre nel 1914, vinse il concorso per Assistente Chirurgico presso gli Ospedali Riuniti. Allo scoppio del primo conflitto mondiale Cantelmo seguì l’esercito, rimase tra i reparti combattenti fino al 1919 e fu tra i decorati di guerra; rientrato a Napoli, fu nominato, a partire dal 1920, Assistente di Ruolo presso la Clinica Chirurgica, ove rimase fino al 1926, quando conseguì, per esame, la libera docenza in Patologia Speciale Chirurgica e, nello stesso anno, per concorso, divenne Coadiutore straordinario chirurgico negli Ospedali Riuniti di Napoli. Decaduto per unicità di mandato dall’incarico di Assistente Ordinario di Clinica, divenne Aiuto volontario nella clinica chirurgica a partire dal 1927; nello stesso anno iniziò a prestare servizio, in qualità di Chirurgo aggiunto, presso l’Ospedale di S. Maria della Pace, mentre dal 1928 esercitò le stesse mansioni anche agli Ospedali Riuniti.

Numerosi sono le pubblicazioni del Cantelmo in quegli anni, tutte di grande valore scientifico. Nell’ottobre 1928 il prof. Cantelmo prese parte a Roma al XXXV Congresso della Società Italiana di Chirurgia, nei cui “Atti” furono poi pubblicati i testi dei suoi interventi: sulla ricostruzione spontanea di una intera dialisi omerale del periostio rimasto dieci anni innativo e su di una colecisti-angiocolite tifica associata a calcolosi con imponenti e subentranti coliche ed ematesi e melene di origine coleicistorragica. Nel 1929 partecipò poi al XXXVI Congresso, che si tenne a Genova, con la relazione sulla patogenesi di una rara forma di sequestro diafisario: sequestro tubolare interno, pubblicata poi nel IV fascicolo degli atti. Studioso attentissimo e scrupoloso Orlando Cantelmo pubblicò inoltre altri importanti articoli e saggi, su scoperte scientifiche e casi clinici particolari; tra i suoi diciassette scritti, editti tra il 1929 ed il 1931, ricordiamo: sulle gangrene e gli ascessi al polmone, su due rari casi di artriti suppurate guarite grazie l’artromia e la rimozione dei drenaggi, angiocolecistite emorragica post-tifica, considerazioni su nove casi scelti di affezioni chirurgiche dell’addome, ancora sull’appendicite, su due anerurismi, spontaneo e parassitario, quadro d’insieme delle vomiche, assaggio di ricognizione nel dedalo delle gangrene giovanili, i melanoblastomi, su due occlusioni intestinali meccaniche cecali e su due casi di perforazione di ulcere duodenali asintomatiche. Ottenuta nel 1931, per titoli ed esami, la libera docenza in Clinica Chirurgica, il prof Cantelmo conservò entrambi gli insegnamenti e diede vita presso la facoltà napoletana a due scuole particolarmente seguite ed apprezzate da numerosi studenti. Non interruppe mai la sua attività scientifica, e già nel 1932 risultava autore di trentadue pubblicazioni, tra cui ricordiamo: “Note semiologiche: come si procede all’ispezione dell’addome”, pubblicato su “Athena” nel 1933, e “Lo stato attuale delle nostre conoscenze sull’influenza delle paratiroidi nelle osteosi ed artrosi”, edito nel 1934 per la Di Lauro di Napoli.

Dal 1933 Orlando Cantelmo divenne professore di Patologia Chirurgica nella R. Università di Napoli, e successivamente ottenne gli incarichi di Direttore della IV sala donne (1933), Chirurgo Primario (1935), nonché di Direttore della Sala Principessa di Piemonte (1937) degli Ospedali Riuniti. Anche in quegli anni egli non trascurò la ricerca e, dal 1934 al 1957, illustrò i risultati dei suoi studi in altre tredici opere di grande rilievo, tra le quali vanno ricordate una serie di scritti di semiologia generale chirurgica, sull’ispezione, la palpazione e la percussione, un saggio sull’indagine radiologica per l’indicazione operativa in casi di tumore mammario, alcuni studi sul colon, sulle rotture arteriali interne, sulle lesioni traumatiche cranio-encefaliche, sull’utilizzo terapico delle sonde aspiranti tipo Miller-Abbott e sui vari tipi di traumatismi del torace.

Socio della Società Italiana di Chirurgia, Presidente della Società Napoletana di Chirurgia e membro della Società Medica Ospedaliera, Orlando Cantelmo si dedicò anche al giornalismo medico su importanti riviste specialistiche dell’epoca, tra cui: “Rassegna Internazionale di Chimica e Terapia”, “Rinnovamento Medico”, “Il Policlinico” e “Gli Incurabili”, periodico edito a cura dell’ospedale omonimo.

Orlando Cantelmo esercitò senza interruzioni l’attività di professore universitario e di chirurgo agli Ospedali Riuniti; in via Giuseppe Orsi n. 18 nella città di Napoli visse fino alla morte avvenuta il 23 novembre 1959, per cause cardiache. Riposa ad Apice, ove si trova anche la sua casa natale nel suggestivo borgo.

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UOMINI
VITTORINO VILLANI
"La cultura letteraria e morale di Vittorino cammina insieme al suo sapere politico. Sono venuto per fare un comizio sulle proposte del Pci ma il comizio lo ha fatto, con ogni particolare, il vostro concittadino Vittorino Villani”. Furono queste le parole pronunciate dall’allora segretario generale del Partito Comunista Palmiro Togliatti durante un comizio del 1948, svoltosi a Piazza Roma, Benevento. Prima di lui infatti parlò Vittorino Villani, il barbiere di Apice, eletto deputato con il Pci sia nel ’53 che nel ’63.
Ricordare Vittorino Villani significa parlare di quegli uomini che formarono i primi nuclei antifascisti nella provincia di Benevento, che si batterono per migliorare le condizioni di lavoro della classe contadina, sfruttata e ai limiti della sopravvivenza, fino a portare in parlamento proposte di legge che riformarono, all’epoca, l’agricoltura italiana. 
Vittorino Villani nacque il 21 marzo 1915. Il padre Michele, provetto muratore, e la madre Angelina Bozzi, casalinga, festeggiano quel giorno di inizio della primavera con la nascita di una nuova vita, il settimo e ultimo figlio di cui era composta la famiglia Villani. Ben presto però la gioia di quella allegra e prosperosa prole si tramutò in amarezza. Infatti, la morte del padre colse alla sprovvista tutta quella figliolanza ancora in tenera età. Il primo dei figli maschi, Giuseppe, aveva soltanto tredici anni, mentre Vittorio, l’ultimo ne aveva soltanto tre: tutte bocche da sfamare.
La famiglia intera cadde allora nelle ristrettezze. Cominciarono perciò i tempi duri per loro. La madre, tuttavia, donna solerte e premurosa, non si perse d’animo e trovò la via per risollevare le sorti della famiglia. Prelevò, così, un rudere abbandonato su un poggio prospiciente il paese e vi impiantò una fornace. Cominciò così a cuocere mattoni coadiuvata da tutti i figli ai quali seppe trasmettere con l’esempio e con la devozione assidua che il lavoro è crescita, è benessere, è dignità ed è indipendenza.
Vittorino, giunto all’età scolare, fu avviato anche lui a seguire la routine del corso scolastico fino alla terza classe elementare. Per lui, però, dotato di intelligenza superiore alla media, di vivacità mentale e di ingegno perspicace, non erano sufficienti le poche e ridotte nozioni scolastiche di quel tempo, né potevano bastare quelle che venivano trasmesse da un ambiente paesano assai povero di stimoli culturali e condannato all’arretratezza perché sottomesso alla volontà di una casta privilegiata e dispotica, sempre distaccata da ogni contesto sociale, per cui dopo la giornata scolastica, seppur costretto dalle necessità familiari a lavorare presso la fornace di mattoni in aiuto della mamma e delle sorelle, si dedicava diligentemente alla lettura dei libri sotto la fioca luce che emanava emanata da un lucignolo di terracotta. Leggeva soprattutto libri di autori appartenenti all’Illuminismo francese e a quelli di autori appartenenti al Romanticismo italiano, francese, russo e tedesco.
Libri che fotografavano assai bene i contrasti sociali e le conflittualità stridenti tra le differenti classi, traendo da essi utili insegnamenti, stimoli politici e culturali, ma soprattutto impulsi e impegni morali finalizzati alla lotta e alla partecipazione in prima persona per il cambiamento di quelle strutture e impalcature sociali degenerate e corrotte. Gli stimoli che Vittorini Villani traeva dalla lettura venivano corroborati dai discorsi che quotidianamente si verificavano nella sartoria di un suo parente, Antonio Gubitosi, classe 1898, reduce della prima guerra mondiale che in seguito, dopo la caduta del Fascismo fu primo sindaco di Apice 
Infatti, nella bottega del Gubitosi, si riuniva un buon numero di persone di diverso orientamento politico, ma tutti animati da una sola fede e da un unico desiderio: libertà e democrazia. E’ doveroso nominarle non solo per la loro dignità di uomini liberi, ma perché essi rappresentavano il primo nucleo antifascista che operava in provincia di Benevento e precisamente in Apice: Antonio Gubitosi, Giliante Lombardi, Nicola Montenigro senior, Vincenzo Montenigro, Vincenzo Cecere, avvocato Tito Giangregorio, professore Oreste Spada, Ferdinando Iarrusso, Michele Masuccio, Sebastiano Giangregorio, Edoardo Giangregorio, Salvatore Iacoviello, Felice Russo, Vincenzino Gubitosi, Esiodo Pecce, e successivamente di mano in mano tutti i fratelli Villani e anche molte donne.
In mezzo a loro Vittorino non solo accrebbe la sua cultura politica, ma soprattutto ricevette lo stimolo a lottare a favore delle classi operaie sfruttate dai padroni, a lottare al fianco dei braccianti il cui lavoro era neppure sufficiente alla sopravvivenza, a lottare a favore dei contadini costretti dai feudatari a uno stato di arretratezza e di analfabetismo strumentale e spirituale, al fianco dei lavoratori tutti e delle donne sotto salariate e senza diritto alcuno. Attraverso il crogiolo di tali considerazioni e delle sue letture, in Vittorino si consolidò sempre più nella sua mente il desiderio di passare dal pensiero all’azione, per cui iniziò con sagacia ad insegnare alle folle che l’uomo è deve essere un essere libero da ogni vincolo che opprima e soffochi la sua libertà di pensare e di capire che il suo diritto a vivere civile e dignitoso appartiene a tutti, così come il diritto allo studio e al giusto salario appartiene ad ogni uomo. Egli andava insegnando a tutti con l’esempio e con la sua parola suadente che bisogna vivere ed operare sempre con onestà, con laboriosità, con rispetto reciproco, con gentilezza, con comprensione e con grande umanità affinché si possa assurgere a dignità di uomo. Fu un comunista.
Ma il suo comunismo fu un comunismo dal volto umano. Egli diceva che per ottenere dignità bisognava convincere ed educare l’uomo ai valori testé citati perché nulla si può ottenere con la costrizione. Un suo motto assai ricorrente era quello che “un buon maestro non obbliga, ma esorta. Un buon maestro vive con dignità ed insegna con l’esempio”. La guerra e la carriera politica Chiamato alle armi nel 1940, Vittorino Villani parte per il fronte albanese, partecipando ad una inutile guerra.
Tra i commilitoni, pur condividendo continui pericoli, trova il tempo per fare propaganda contro il regime. Denunziato da qualche delatore, riuscirà a salvarsi con l’intervento di un Capitano fedele al Re ma non a Mussolini, che lo aiuta a tornare in Italia, ottenendo un congedo straordinario per assistere la madre malata. Trovandosi ad Apice l’8 settembre 1943 con la firma dell’armistizio, ritorna al suo lavoro e con rafforzato impegno politico inizia a collaborare con la federazione Comunista di Benevento.
Tra le sue iniziative, organizza nel Fortore la “marcia della fame” denunziando lo stato di una categoria quasi al limite della sopravvivenza. La sua azione continua e pressante si sposta nelle sedi legislative, con gli innumerevoli studi e le proposte presentate, gli interventi capillari presso il Ministero dell’Agricoltura, porteranno all’approvazione della Legge stralcio numero 841 del 1950, sulla riforma agraria, i cui effetti risulteranno i più importanti e sconvolgenti del dopoguerra, anche perché prevedeva l’assegnazione di terreni ai braccianti. Nelle sue continue battaglie in difesa dei fittavoli, non tralascia lo studio e da privatista consegue il diploma di scuola superiore.
Il Partito Comunista Italiano, nel 1953, candida alla Camera dei deputati Vittorino Villani nella circoscrizione Benevento-Avellino-Salerno e risulta eletto con 15.436 preferenze. Da deputato continua ad interessarsi del settore agricolo, individuando particolari situazioni rimaste ancora insolute, per le quali ne sollecita l’adozione di urgenti provvedimenti. Ricandidato alla Camera nel 1963, Villani sarà eletto con 18.508 preferenze e anche in questa seconda esperienza parlamentare guarda all’agricoltura, presentando diversi disegni di legge (primo firmatario) sulla valorizzazione del tabacco beneventano “Kentucky”. Al termine del mandato parlamentare si trasferisce a Roma, occupando la presidenza del Consorzio Nazionale dei Tabacchicoltori, e più volte sarà convocato dalla Commissione Europea nella qualità di esperto nel settore. Considerato un uomo del futuro, Vittorino Villani morirà il 10 agosto 2007.

Estratto da un articolo di Michele Intorcia

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Estratto da una foto di CARMINE MUCCI

UOMINI
JHON FRUSCIANTE
è uno dei chitarristi più importanti dell’epoca moderna della chitarra, soprattutto del decennio Novanta, il chitarrista più importante della storia dei Red Hot Chili Peppers. Artista eclettico, cresciuto a ‘pane e Zappa’ ma molto ispirato alla scena funky e alternative, ha tracciato il solco per un nuovo modo di concepire lo strumento.  Il chitarrista, infatti, come è intuibile anche dal cognome, ha un legame con il nostro territorio. Il suo bisnonno paterno, Generoso Frusciante, era originario di Apice. E' da Apice che agli inizi del secolo scorso, come tanti emigranti, quel contadino partì per New York in cerca di fortuna. John nel 2010 ebbe modo di visitare la sua terra d’origine e rimase molto colpito e legato a questo territorio. John Anthony Frusciante Jr. è nato a New York il 5 marzo 1970. Cresciuto nel Queens, si trasferisce a Los Angeles a 12 anni. Figlio di un musicista, ha iniziato studiare la chitarra a 11 anni, scoprendo la discografia di Frank Zappa e provando a imitarlo per tante ore ogni giorno. Nel 1985 per la prima volta sente i Red Hot Chili Peppers durante un concerto: ne rimane folgorato. In particolare, lo entusiasma lo stile del chitarrista Hillel Slovak, uno dei fondatori del gruppo. Dopo la morte per overdose di quest’ultimo, John riesce a entrare in contatto con Flea, bassista della band. I due diventano amici e alla fine Frusciante entra ufficialmente nel gruppo. Il suo ingresso cambia la storia della formazione. Nel 1989 con l’album Mother’s Milk i Red Hot Chili Peppers sfondano a livello internazionale, grazie anche allo spettacolare stile chitarristico e al carisma di Frusciante. Dopo tre anni di grandi impegni, il 7 maggio 1992 durante un tour in Giappone John è costretto a lasciare la band per motivi personali. Dopo diversi anni difficili, rientra nel gruppo nel 1998, incidendo un altro album storico, Californication. Nel 2009 dà alle stampe un album solista, The Empyrean. A fine anno annuncia la sua nuova uscita dalla band per dedicarsi solo alla propria carriera individuale. Cosa fa oggi John Frusciante? Continua a essere uno degli artisti più interessanti della scena rock americana e uno dei chitarristi più influenti degli ultimi trent’anni. Il 15 dicembre 2019 è tornato ancora una volta a far parte dei Red Hot Chili Peppers. Legato al nostro paese all’interno di un palazzo sito in piazza Umberto I possiamo ritrovare un murales a lui dedicato.
CRONACA
MERCATINI DI NATALE

Il borgo fantasma di Apice Vecchia ospita annualmente il Mercatino di Natale. Viaggio attraverso il Natale, dedicata al racconto del periodo più magico dell’anno attraverso personaggi storici, letterari, animati e fantastici che guidano il visitatore in un viaggio incantato all’interno del Castello dell’Ettore.

L’antico e maestoso Castello Medievale che domina il borgo di Apice Vecchia, definito dallo scrittore e giornalista napoletano Antonio Mocciola “La Bella Addormentata”, diventa un luogo surreale: la calda e magica atmosfera natalizia del Mercatino di Natale si snoda nel percorso di casette che espongono prodotti di ogni genere, come opere artistiche locali, prodotti enogastronomici del territorio, oggetti di artigianato tipico e originali manufatti, oltre a fantastiche idee regalo per un Natale davvero speciale. Spettacoli, scenografie e spazi espositivi sono il cardine di un evento senza precedenti, che coinvolge, tra gli altri, operatori nel settore dell‘intrattenimento, scuole di danza e compagnie teatrali.Bello, infine, il panorama di cui si gode dal torriore del castello, un panorama che domina sul borgo e la valle contemporaneamente. Un mix di animazione, spettacoli ed esposizioni di artigiani locali che interpretano e danno vita all'atmosfera natalizia rendendola unica.

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